Ringrazio l'amico Romualdi per le belle parole, che condivido sostanzialmente 'in toto'. Tranne quando, spingendo un tantino troppo sull'acceleratore, mi posiziona tra Candido Cannavò e Gianni Mura: caro Ric, il mio narcisismo è proverbiale, ma non esageriamo! Mi prendo un ultimo spazio - mi suona alquanto strano scriverlo, comprenderete - su questo sito. Tranquilli, non lo faccio per ammorbarvi con autocelebrativi sunti agiografici delle nostre epiche gesta. O per il tradizionale e funereo "saluto ai lettori", che tipicamente i direttori uscenti scrivono in questi casi.
Non sto andando da nessuna parte. Vivo e continuerò a vivere in questa dannata cittadona, pascolerò alle solite latitudini, tutti quanti ci vedremo rivedremo e incroceremo: come prima, più di prima. Quindi non ci sono lacrimevoli addii da fare, commiati da imbastire, nessun groppo in gola da deglutire. Il contatto con Rom e i miei ragazzi resterà intenso. Soprattutto all'inizio avranno bisogno di me. E io per loro ci sarò, quando scopriranno che quel che "si vede" di forlibasket rappresenta solo una piccola parte di forlibasket.
Cosa è successo, chi mi/ci segue credo lo abbia compreso. Una concomitanza di eventi mi ha offerto la possibilità di 'vederla' da un'altra prospettiva. Non da oggi, anche a causa di 12 anni ad occuparmi quasi in solitario di quel che "non si vede", ero stanco. Sgonfio. Molti l'avranno notato: avevo perso la necessaria 'spinta' per dirigere il portale. E un direttore smaronato, tra l'altro, può essere devastante per il media che dirige. Di controbalzo, a metà maggio, ho incrociato Garelli. L'idea era di incontrarlo 'da direttore di forlibasket', per capire come stesse procedendo la formazione della nuova squadra. "Un delirio - ammise Gigi al Bar della Posta - c'è tutto da fare, ho disperato bisogno di una mano". Poi, quella che probabilmente Garelli disse come una battuta: "Mi vuoi aiutare te?". E io: "Si". E adesso sono cavolacci. Suoi. Miei. Loro.
A Garelli e a Giuseppe Rossi l'ho detto chiaramente. Non prendetemi per 'depotenziare' forlibasket. Forlibasket mi sopravviverà, e non è detto che il nuovo forlibasket non sia ancora più ingombrante del 'mio' forlibasket. Prendetemi per quello che pensate possa darvi. Già, ma cosa posso dare? Ho la presunzione di avere idee, spunti, slanci che possano tornare utili alla Pallacanestro 2.015, chiamata oggi al non semplice compito di riannodare i fili tra le migliaia di appassionati di basket di Forlì e la prima squadra della città. Lavorerò comunicando usando i mezzi coi quali mi sono fatto spazio in questi anni (web, social networks). Reinterpretando il polveroso ruolo di addetto stampa 'vergatore di asettici comunicati' che fa inorridire Romualdi, traducendolo in qualcosa di più proattivo. Cimentandomi con entusiasmo in aspetti nuovi: come l'ideazione di un logo, l'impostazione di una campagna abbonamenti, l'organizzazione di un ticketing che sia possibilmente molto diverso da quello proposto dalla Lnp nel weekend scorso.
La sfida, per me e per la Pallacanestro 2.015, come molti si sono premurati di dirmi in queste settimane, è nel riuscire a 'canalizzare' la mia verve irregolare dentro ad un ruolo ufficiale. In termini paradossali il "vantaggio" è nel drammatico foglio bianco che abbiamo tutti dinnanzi. Il polso per me - come per Garelli, per Giroldi, per Pomo Serra e via discorrendo - è già indolenzito: perchè scrivere e dipingere da zero su un foglio bianco è faticoso. Ma meglio il polso indolenzito per partire da zero che cercare improbabil spazi in un foglio già lurido di scarabocchi, contesti incancreniti, uomini e procedure incrostati, decenni di pessime abitudini.
Lascio forlibasket nelle uniche mani in cui era giusto lasciarlo. E se mi si dice che sul mio amato portale si cercherà di portare avanti una linea girardiana, mi sento tranquillo: non avrò sconti, lo so, ma nemmeno un rigo in malafede. Quando si interrompe qualcosa (qualunque cosa: una storia d'amore, un'esperienza professionale, un'amicizia, un progetto) che duri da 12 anni, il trauma è inevitabile. Anche quando la causa che fa voltar pagina è legittima, o magari addiruttura inevitabile. In queste settimane, in più d'uno, abbiamo bevuto l'amaro calice del dispiacere per un'avventura che, comunque andranno le cose, oggi è diversa da ieri. Ma se è vero, come alcuni recenti studi sostengono, che da un punto di vista esistenziale è opportuno dar vita ad un cambiamento radicale ogni sette anni, va a finire che ho tenuto il mio culone sulla sedia su cui prende posto Romualdi per un lustro di troppo. Non è comodissima, ma può dare tante soddisfazioni.