Dunque sul tavolo c'è questo progetto Team Romagna: Forli+Ravenna. Io ci metto il palasport, tu ci metti la categoria, ok, però con che nome? con che maglia? con che colori? E già la sensazione è che si sia al palo. Tanti, tra gli autorevoli ed equilibrati editorialisti che su facebook invitano alla calma ("aspettiamo di vedere il progetto", "pazientate prima di giudicare", "non bocciamolo a prescindere", "tra qualche settimana avremo qualcosa di più concreto su cui ragionare"), da un punto di vista diplomatico erano anche allora, diciott'anni fa al San Giorgio, più che "aperti" a mettere assieme Forlì e Rimini. Pur di scroccare una categoria ad un'altra piazza - il fatto che quella volta si parlasse di conglobare il Nemico a soli 24 mesi dal roboante "3-0" sembrava non contare granchè - erano già all'epoca pronti a tutto. Gente per tradizione poco schizzionosa, ma ahimè ancor meno illuminata: la stessa, non a caso, che ha difeso fino allo stremo i numerosi macellai della FulgorLibertas.
Ma non mi alzo alle 6:30 del lunedì di Pasquetta - sorta di Jesus Christ superstar cestistico fuori tempo massimo (ma tranquilli: finisco e mi reinfilo nella mia confortevole catacomba) - per polemizzare. Quanto piuttosto per scrivere quel che IO penso di un progetto allargato di "Romagna Basket" o Team Romagna se preferite. Se vent'anni fa, una cosa del genere mi pareva una mostruosità, oggi mi pare esserlo molto meno. E non lo dico per il semplice fatto che a vent'anni - tanti ne avevo su per giù all'epoca della tresca Rovati/Sberlati - si è incendiari, mentre una volta superato "il mezzo del cammin di nostra vita" si diventa pompieri.
Vado oltre e faccio una valutazione quanto più possibile oggettiva. Il cui punto di partenza è una domanda, la seguente: cosa riescono a (non) combinare singolarmente e dati alla mano le società cestistiche della Romagna? Breve carrellata, cominciando dai soggetti attualmente in questione: Forlì e Ravenna. Forlì. Belll'impianto, solida tradizione, alcune centinaia di giovani praticanti in settori giovanili divisi ma vivi, due o tremila persone che domenicalmente alle 17:00 hanno il riflesso condizionato di accendere la macchina per andare al basket. Imprenditoria? Fund Raisers (cercatori di "pilla")? "Teste pensanti" con idee intelligenti per una pallacanestro di vertice? Lasciamo perdere: siamo un disastro. E infatti se non cambia nulla, a settembre il top di gamma sono, con il dovuto rispetto, i Tigers Forlì. Nati nel 2014. Ravenna è quella che nell'utimo lustro ha dimostrato si saperci fare di più: Bottaro per qualcuno non è adatto a vincere Italia's Got Talent nella categoria "simpatia epidermica" ma ha due coglioni d'acciaio; Vianello è un patron "vecchio stile", alla Corrado, di quelli che non ce ne sono più; De Giuli un addetto stampa che da grande può fare il dirigente e può farlo bene. Problemi bizantini: non hanno tradizione, quindi non hanno e non possono avere passione popolare vera (i 1.000 attuali che stipano il PalaCosta sono il loro "top", oltre c'è poco/niente), nè - cosa gravissima - un Palasport. Perchè anche la decantata panacea-PalaDeAndrè è - credetemi -, per la pallacanestro, un sgorbio.
Bene, ma secondo voi la Romagna sarebbe tutta qui? No, perchè questa roba qui io al massimo lo chiamerei Team Ravegnana. Magari facciamo un Palasport a Coccolia e siamo tutti contenti. E Rimini con la sua storia e i suoi vivai? E i fenomeni veri di Santarcangelo? E l'interessante e laborioso polo Cervia/Cesenatico? E Cesena, dove sotto al Dio Calcio arde da sempre una tutt'altro che trascurabile fiammella per la palla a spicchi? E le centinaia di appassionatissimi di Faenza? Forzo la mano e ci aggiungo pure Imola, da cui ai tempi di McAdoo scendeva gente per venire a tifare Forlì. Questa roba qui è o non è Romagna, per Dio? E allora vado oltre con la provocazione e calo il carico da novanta: questo raffazzonato Team Romagna "solo" Fc+Ra è troppo poco. Se si fa un progetto-Romagna, se si decide di fare il passo clamoroso di sacrificare i campanili e le loro specifiche ed oggettive incapacità a fare basket di vertice - mettendo in conto di doverne accettarne i fisiologici e per certi versi legittimi rigurgiti di protesta - allo scopo di produrre una Pallacanestro che sappia andare sulla Gazzetta dello Sport o portare in qua un Metta World Peace, occorre osare. Osare pesantemente. Pianificando e progettando: altrettanto pesantemente.
Un progetto Romagna Basket - rivolto ad un bacino d'utenza di 1.125.000 abitanti, l'80% dei quali a meno di 40' d'auto dal Palafiera, che vada a interessare i big dell'imprenditoria non solo romagnola ma nazionale, che si allacci al territorio e alla sua vocazione turistica, che voglia sportivamente insidiare l'AC Cesena a livello di soggetto sportivo numero 1 tra Bologna e le Marche - è qualcosa di troppo serio per essere ridotto ad uno maramaldo "furto" di un diritto sportivo tra due piazze cui manca un pezzo. O Romagna Basket, l'Area Vasta della pallacanestro, si fa "con le palle" o tanto vale non far niente. O si fa una vera e propria "franchigia" in stile-Nba, con un manipolo di dirigenti illuminati che abbia chiaro che va fatto un lavoro di marketing da far tremare la terra mirato a creare nuove generazioni di tifosi che tra dieci anni tiferanno Romagna e non più Forlì, Rimini, Ravenna o Imola, oppure "stiamoci a casa". Il rischio è altissimo. Le fusioni, da Livorno in poi, sono quasi sempre stati dei pastrocchi. Ma non sempre: pur entro un fazzoletto di terra più limitato, a Venezia ce l'hanno fatta. Mestre e Venezia erano come Israele e Palestina: ma con la forza del marketing e dei risultati oggi tifano tutti assieme Umana Reyer. Ecco: o si fa una roba del genere. O tanto vale che ciascuno rimanga la merda che è.