C'è chi c'era quando tutto è iniziato. Anno 1987: una città abituata ai gradoni sberciati del Villa Romiti, si trova, timorosa come chi è invitata ad un festa ma ha l'abito sbagliato, dentro un meraviglioso salotto. Spagna vince il Festivalbar, El Pibe fa impazzire una città, ed in America i Nets hanno la bella pensata di scegliere alla 3 Dennis Hopson, perché quello magrolino dalle orecchie a sventola, con quel fisichetto li, dai su, dove vuoi che voglia andare. Quello magrolino diventerà la più terribile macchina da tre punti della storia della Nba. Miller, Reggie Miller.
C'è chi lo ha fatto diventare subito un punto di ritrovo. Il sabato ci si vedeva al Calzerotto. La domenica a palazzo.
C'è chi ci andava in bici. A volte aggrappato al braccio di uno col motorino. A volte anche uno per braccio. Senza casco, rigorosamente. A dicembre, con il freddo che tagliava la faccia. I più sfortunati avevano i genitori che li obbligavano ad accompagnarli. E allora li si faceva parcheggiare a chilometri. Meglio una maratona sotto la pioggia, che essere costretti agli spernacchiamenti degli amici per essere scesi dall'auto della mamma.
C'è chi ci incontrava la "morosa". Qualcuno si infrattava per far due "lingue", perché "I love this game" ma quella minigonna mandava sempre tutto a ramengo.
C'è chi ha fatto diventare la morosa, moglie, e la moglie, mamma. Oggi ci porta, orgoglioso, il proprio bimbo. E prova a spiegargli la magia. Ma il mago, quando spiega il trucco, non è molto divertente. I pargoli annuiscono, ma difficilmente capiscono.
C'è chi ci ha visto giocare McAdoo e non si è reso conto di cosa stava vedendo. Un MVP Nba, con due anelli al dito, che sbarca a Forli. Pazzesco. Sarebbe come se fra qualche anno arrivasse Durant. Che poi, se Boccio sta leggendo, starà pensando: "in fondo, non mi sembra un cattiva idea".
C'è chi ha visto giocare Niccolai. E, se lo ha fatto, era sicuramente, immancabilmente, ostinatamente presente quella sera a Rimini. Quella sera a Rimini c'erano tutti. Anche chi non c'era.
C'è chi entrava col bomber alla rovescia. A volte dalle porte sul retro, con qualcuno che apriva da dentro spingendo il maniglione antipanico.
C'è qualcuno che era in curva e oggi va in parterre. Difficilmente il contrario.
C'è qualche signora che giudica le sgallettate che fanno passerella a bordocampo, scordandosi che una volta era lei la peripatetica.
C'è chi non si rende conto che, dall'apertura, sono passati 27 anni. E dopo aver letto questa frase si sentirà un pò più vecchio.
C'è quello che "i giornalisti dovrebbero pagare per entrare".
C'è chi quando ci passa davanti in auto, inevitabilmente, rallenta e lo guarda.
C'è chi lo chiama comunque con lo stesso nome da sempre, nonostante abbiano provato ad affibbiargliene un altro.
C'è chi non vive più a Forli, ma quando sente parlare di "palazzo più bello del mondo" ha sempre un solo pensiero.
C'è quello del parterre che pensa che quello in curva sia un disadattato.
C'è quello in curva che pensa che quello del parterre sia un fighetto da divano.
C'è chi sa a memoria dove era seduto quel tifoso scatenato che oggi, purtroppo, non c'è più.
C'è quello che arriva con la moglie e la cravatta, ma quando entra a palazzo, torna diciottenne.
C'è chi questa estate ha avuto paura di non poterci tornare più.
Invece domenica torniamo a casa nostra. Torniamo al Palafiera.