Intervista


Vincenzo Esposito in occasione dell'intervista con FB


IDENTIKIT

Nome e Cognome

Vincenzo Esposito

Soprannomi

Enzo, El Diablo

Ruolo

Guardia

Altezza

194 cm

Dati anagrafici

A Caserta il 01/03/1969

Note biografiche

Nel 1984 debutta nella squadra della sua città, Caserta, dopo tutta la trafila delle giovanili. Vi resta per ben 11 anni, dal 1984 al 1993, vincendo una Coppa Italia nel 1988 ed uno storico scudetto in finale contro Milano nel 1991. Successivamente, fino al 1995, gioca nella Fortitudo insieme al forlivese d'adozione Fumagalli e diventa un idolo della tifoseria bolognese. Arrivano varie chiamate dalla Nazionale maggiore con cui, però, ha rapporti contrastanti che non riuscirà mai a risolvere. Nel 1994 approda ai neonati Toronto Raptors, primo italiano a giocare nella Nba insieme a Rusconi. Per molti è semplicemente un'operazione di marketing per accontentare la numerosa comunità italiana della città canadese. Esposito gioca una trentina di partite con i Raptors, con una memorabile fiammata al Madison Square Garden di New York, in cui piazza 18 punti (con un clamoroso 6/6 da tre), record per un italiano che sarà battuto solo diversi anni più tardi da Bargnani. Dopo gli States ritorna in Italia, direzione Pesaro. L'amore non sboccia, anzi retrocese. Nel 1997 è a Pistoia: in molti pensano che la sua carriera sia in parabola dicendente. Lui non ci sta e riparte dal basso: va ad Imola e per tre anni, dal 1998 al 2001, si aggiudica la classifica marcatori. Poi, dal 2002, è un'autentica girandola di squadre: da Udine alla spagnola Gran Canaria, da Scafati alla Roma di Myers, da un'altro passaggio ad Imola fino alle negative esperienze a Casale Monferrato ed a Gragnano con cui non si lascia certo con mazzi di fiori. Innnamorato della Romagna e sentendosi oramai "romagnolo" a tutti gli effetti, giura che finchè giocherà lo farà dalle nostre parti. Prima stagione per lui a Ozzano, dove gioca tutt'ora.


Intervista di
Riccardo Girardi

Che uomo è oggi Vincenzo Esposito?

 

Ho 39 anni, sono sposato con Connie, americana, 4 anni più di me, conosciuta quando giocavo nell’Nba. Abbiamo una bimba di 5 anni, Rebecca. Che da quando è nata, siccome viviamo 9 mesi all’anno a Castel San Pietro e 3 a Las Vegas, più che essere bi-lingue direi parla un misto italiano/inglese davvero curioso. Mia moglie Connie invece, che da 10 anni fa la spola con me tra la Romagna e il Nevada, sfoggia un italiano perfetto.

 

Connie ti ha sempre seguito?

 

Ha provato a farlo. Lo ha fatto quasi sempre. Solo a Scafati e Gragnano, dopo 1 settimana mi ha detto: “Enzo, torno a Imola. Ci vediamo quando torni”. Poverina, la capivo.

 

A Las Vegas che combini?

 

Ho fatto un investimento, comprando anni fa una villa all’interno di county golf club da favola. Il golf è diventata una vera scimmia. Sono un maniaco compulsivo. Appena posso vado a giocare. America o Italia non importa. A Las Vegas ci sto nei 3 mesi estivi. Bel clima, un luogo che considero casa mia. E d’estate c’è una Summer League diciamo ‘di seconda fascia’, che le squadre italiane faticano a scoutizzare. E allora mi chiamano e io, informalmente, gli mando qualche dritta. Fare lo scout è la mia passione più grande.

 

Quindi non è che ti stai sputtanando tutto al casinò...

 

Non c'è pericolo. Non so giocare nemmeno a scopa! E poi la mia famiglia a suo tempo mi insegnò la differenza tra 1 euro e 1 milione di euro...

 

Tornando al tuo futuro: par di capire che tra qualche anno non farai l’allenatore o il procuratore...

 

Il procuratore di sicuro no. E’ una categoria che mi piace pochissimo, anche se da vent’anni intrattengo uno splendido rapporto col mio, Riccardo Sbezzi. Ma non fa davvero per me. Forse mi piacerebbe allenare. Ma più ancora mi dà una libidine incredibile andarmi a vedere una partita di college di terza divisione, tra università sconosciute, provando a scovare qualche talento sommerso…

 

In definitiva, nel tuo futuro: Italia o States?

 

Spero ancora tutte e due, un pò e un pò. Anche se sono consapevole che più Rebecca cresce, più questo sdoppiamento diventa inopportuno. A livello scolastico a Las Vegas diciamo che l'istruzione non è ai primi posti nelle priorità...

 

 

ESPOSITO, LA ROMAGNA E LA B1

 

 

Vincenzo Esposito, domenica giochi contro Forlì. Toglici subito una curiosità. 3, 10 o 15 anni fa, non lo sappiamo. Ma c’è mai stata un’ipotesi “Esposito a Forlì”?

 

Sì, un paio di volte. Anni ’90. Qualche stagione dopo lo Scudetto di Caserta, ai tempi in cui avevate McAdoo. E forse ai tempi in cui da voi c’era Giorgio Corbelli. Però chiacchiere, nulla più.

 

Come sei finito a Ozzano nell’Emila?

 

Sai com’è. Recentemente avevo provato ad allontanarmi dalla Via Emilia. Esperienze tutte negative. Ho deciso che non è più una questione di soldi. Non so per quanto tempo giocherò ancora. Se per ancora 1, 2 o chissà quanti anni. Di sicuro non mi allontano più da qui. E’ una scelta di vita. Anzi sono due…

 

Prima scelta di vita di Enzo Esposito.

 

La Romagna. Ho comprato casa a Castel San Pietro. Qui c’è la mia vita. Ho girato l’Italia. Anzi, il mondo. Ma ho deciso di piantare le radici qui. Perché questo è il posto più bello della terra in cui vivere.

 

E la seconda scelta di vita quale sarebbe?

 

Beh, se la prima è il rimanere in questa zona smettendo di girovagare, la seconda è quella di giocare in B1. Anche se ogni tanto suona qualche sirena, basta con gli svolazzi del tipo Serie A, LegaDue, specialista di qua, chioccia di là. Tutte menate. Voglio giocare in questa terra. E voglio farlo in B1. Il campionato secondo me più bello e più ‘giusto’ per me. Certamente l’avrei fatto all’Andrea Costa Imola, il mio grande amore, se solo non l’avessero ripescata l’estate scorsa. A quel punto Ozzano è stata la scelta perfetta.

 

Come ve la passate al Gira?

 

Beh, c’è una società molto bene organizzata, brillante, seria. Che non è poco, credimi. Proprietario e sponsor qui a Ozzano hanno mezzi economici potenzialmente notevolissimi. Potrebbero prendersele loro la Virtus e la Fortitudo, tanto per intenderci.

 

E allora cosa ci fanno in B1?

 

Finora hanno preferito tenere i piedi ben piantati per terra. Probabilmente sono consapevoli del fatto che fare un ‘terzo polo cestistico’ a pochi chilometri da Bologna non sarebbe facile. Il paese è piccolo. E manca un impianto. Anche se, a ben pensarci, se decidessero di costruirlo, credo lo tirerebbero su in tre mesi! Tra l’altro corre voce che l’anno prossimo vogliano fare uno squadrone tipo Venezia o Casal Pusterlengo. Non so se ogni anno di questi tempi girino queste voci e se sarà davvero così. Di sicuro penso possano permetterselo…

 

Intanto quest’anno avevate sbagliato allenatore. Ma dopo l’esonero di Faina, però, con Procaccini state facendo bene…

 

Poche storie: con Faina la squadra non andava. Pippo aveva chiesto qualche ritocco che non è arrivato. Brutto a dirsi, ma probabilmente s’è perso tempo. Con Procaccini, allenatore capace anche e soprattutto in quanto ex giocatore di buon livello, marciamo a un ritmo da primi 4 posti. Insomma, stiamo riallineando la stagione nella direzione del suo obiettivo originario: essere le mine vaganti ai playoff.

 

Tu come te la passi?

 

Da povero vecchio. Scherzi a parte, sabato, il giorno prima di Forlì-Ozzano, compio 39 anni. A parte i 2 infortuni avuti in carriera, mi sono sempre ‘curato’ molto. Alimentazione sana, vita da atleta. Oh, senza esagerare: se c’è da fare la serata piadina, ciccioli e sangiovese non mi tiro indietro! Ma solo una volta ogni tanto… Ecco: fino a un paio d’anni fa mi sentivo come un ragazzino. Confesso che ultimamente un po’ di stanchezza fisica e mentale inizio ad avvertirle. Non a caso ho chiesto e ottenuto, recentemente, di poter allenarmi facoltativamente alla mattina.

 

La stanchezza fisica comprendiamo cosa sia. Quando parli di fatica mentale a cosa alludi?

 

Vedi, io voglio giocare in B1 per un motivo preciso. Perché in B1 posso giocare “da Esposito”. 30 minuti da leader, segnando e incidendo sulla squadra. Una condizione che per quanto sia ti carica di responsabilità. Responsabilità che sento anche in allenamento, se è per questo, perché io sono un tipo che farsi fare il mazzo da un ragazzino di vent’anni non lo gradisce molto. Anche in allenamento, dove voglio invece essere un esempio. Ecco, tutto questo ha un peso anche mentale.

 

Guardando il roster di Ozzano la prima cosa che viene da dire è: Carretta+Esposito, squadra ingestibile.

 

Ti assicuro che è l’ultimo dei problemi. Io e lui andiamo d’accordo. In campo e fuori. Vedi, Carretta è un tipo molto particolare: uno che vive il basket in modo molto naif. Avrebbe delle gambe che potrebbe buttar giù la palla, andare a canestro e schiacciare in testa a chiunque. Preferisce fare due palleggini e sparare il suo tiro alla Bodiroga da 8 metri. Se entra bene, sennò si vive lo stesso. Un personaggio!

 

Allora quali sono i limiti di Ozzano?

 

I nostri limiti sono in una cabina di regia giovane e un po’ inesperta: senza Antinori, con Tracchi e Silvestrini abbiamo due play interessanti ma che non sono mai stati titolari in B1. E poi vanno troppo veloci! L’altro nostro limite è nel pacchetto lunghi: a parte Barbieri, Colombo e Raminelli fanno 100 chili in due…

 

A proposito di Sivestrini. Qualche anno fa lo abbiamo visto giovanissimo qua da noi a Castrocaro in C1. Lo scorso anno ha vinto la B1 con Veroli. Che giocatore è? E che giocatore può diventare?

 

In prospettiva direi che può diventare un bel play titolare da B1. Ha molta forza fisica, una volontà d’acciaio, è un innamorato di questo sport davvero impressionante. Lui pensa solo a quello: io gli dico sempre ‘Ricky, ogni tanto smetti di pensare al basket, esci con una ragazza’. Ma lui è concentrato solo sulla pallacanestro. Con un’irruenza che si riflette anche in campo, e che lo porta ad andare troppo spesso fuori giri: me lo sono preso sotto l’ala, provo a insegnargli qualcosa, ma ogni tanto bisogna sopprimerlo.

 

Vorresti dire contenerlo

 

No, no: sopprimerlo, proprio.

 

Ah ecco. E Forlì come la vedi?

 

La vedo bene: ci abbiamo fatto 3 partite, 2 in coppa e 1 in campionato, perdendo tutte e 3 le volte. Squadra completa e piazza storica. Viene gente? Ma perché non giocate al Palafiera?

 

Perché si preferisce il Villa Romiti. E’ più “su misura” rispetto all’attuale momento della pallacanestro forlivese…

 

Che peccato. Comunque ora che ci penso Forlì è vicina a Castel San Pietro. Io una capatina a Forlì credo di essere ancora in tempo per farla. Anzi, pensandoci bene sarebbe bellissimo…

 

 

ESPOSITO “EL DIABLO”

 

Parliamoci chiaro. Sei sempre stato considerato un giocatore di quelli ‘maledetti’. El Diablo è un soprannome che parla chiaro…

 

Diversità, talento, sincerità. Sono cose che spaventano. Tutte le persone vere, quelle che si sanno incazzare, nella vita sono destinate a essere considerate maledette. Ad esempio io, che avevo la fama di uno non facile da gestire, con gli allenatori improntavo e impronto i rapporti sulla franchezza e sull’onestà. Poi puoi trovare il coach che apprezza questo approccio, magari trovi quello che la prende come una questione personale.

 

A proposito di allenatori. Elencaci i tuoi preferiti… e quelli che avresti evitato volentieri…

 

Marcelletti, Vitucci, Cavina e Gramenzi direi che sono stati dei riferimenti importanti, non solo sul piano cestistico ma anche umano. Non a caso li sento tutt’ora. Con Scariolo ho avuto un rapporto particolare. Diciamo che entrambi sapevamo di avere di fronte uno “bravo”, pertanto è nato un reciproco quanto equilibrato rapporto di odio/amore. Con chi non ho legato? Mah, certamente a Pesaro con Vujosevic mi sono trovato male, mentre Bucchi non ho ancora capito bene cosa volesse da me a Roma…

 

 

 

ESPOSITO E LA CARRIERA

 

 

Cominciamo dal principio. Caserta. Quando prendi in mano il primo pallone?

 

Quando afferro il primo pallone, lui è praticamente più grande di me: ho 4 anni.

 

Trafila giovanile nella tua città. Raccontaci.

 

Mio padre mi accompagnava a scuola. Entravo dal portone davanti, uscivo da quello dietro per andare al campetto a tirare. Quanto ha dovuto sudare per farmi diventare ragioniere da privatista!

 

Quando hai capito che avresti fatto il giocatore?

 

Quando a 10/11 anni io facevo sempre 30/40 punti e gli altri ne segnavano 10, cominciai ad avere il sospetto di avere una qualche qualità in più…

 

 

Chi era il tuo idolo cestistico all’epoca?

 

Da ragazzino impazzivo per Drazen Petrovic. Il poster in camera, i ritagli delle foto. E le videocassette, che guardavo e riguardavo per copiare i suoi movimenti. Anche se, va detto, Petrovic era un talento non esattamente naturale, ma edificato con la meticolosità, l’allenamento, la fatica, la ripetitività del gesto. Tanjevic, il coach della prima squadra, un po’ per elogiarmi un po’ per bacchettarmi, mi diceva sempre: ‘Tu hai 3 volte il talento di Petrovic. E’ che tra te e lui ci sono 1.000 tiri al giorno di differenza!’. Poi c’era Oscar…

 

Già: non era un brutto attaccante…

 

Oscar, quand’ero ancora un ragazzo, mi ha generato i primi traumi. Andavo alla mattina al PalaMaggiò a passargi la palla nelle sessioni di tiro. Un fenomenale tiratore puro. Faceva delle sequenze irreali. Dopo un po’ mi diceva ‘dai, adesso tira un po’ te’. E io: ‘No, no, stiamo a posto così, andiamo a casa!’…

 

Con la prima squadra quando inizi?

 

A 15 anni arriva la chiamata estiva nel gruppo della prima squadra con Tanjevic. A 17 Marcelletti, nel frattempo divenuto head coach, mi sbatte in quintetto in A1… Cose inimmaginabili oggigiorno, anche se Marcelletti con Melli a Reggio Emilia conferma di essere uno che non si tira indietro se c’è da far giocare i giovanissimi.

 

Con Petrovic, il vecchio idolo, ti incroci nel 1989. Finale di Coppa delle Coppe in Grecia. Il Real Madrid vi batte dopo 1 supplementare. Drazen ne fa “solo” 60.

 

Come dimenticarla, quella serata? Io contro il mio idolo. In una partita certamente strana, che a tratti sembrava quasi un 1-c-1 tra Petrovic e Oscar, ma dai contenuti emotivi indescrivibili…

 

Oscar se ne va. A Caserta arrivano Shackleford e Frank. E con loro lo Scudetto. A Milano nella partita decisiva ti rompi un ginocchio. Sei a bordocampo mentre si giocano le fasi decisive. Si avvicina a te il telecronista della Rai e che succede?

 

Mi piazza il microfono sotto al mento e mi domanda: ‘Esposito, come stai?’.

 

E tu?

 

‘Non mi rumper il cazz, voglio vedere la partita’.

 

Lasci Caserta a 24 anni per la prima volta. Sei a Bologna, sponda-Fortitudo.

 

Il posto ideale, direi. Il mio primo contatto con l’Emilia Romagna. Contesto caldo. 2 stagioni super. Nella prima partiamo da -9, poi ridotti a -6, arriviamo in semifinale Scudetto. Con Aldi, Blasi, Comegys, Casoli e Gay. Non eravamo deboli. Ma nemmeno fortissimi. Credo che a Bologna se si voltano indietro possano davvero considerare quel risultato come qualcosa di splendido.

 

Con te c’è un certo Corrado Fumagalli.

 

Uno dei pochi che ritengo di poter considerare amici nel mondo del basket. Lui era molto diverso da me, ma era uno che apprezzava la schiettezza, per questo legammo. In definitiva considero Fumagalli uno dei giocatori più sottovalutati del basket italiano: quel tiro, quelle letture, quella tecnica e quelle gambe credo di averli rivisti solo ed esclusivamente in Mike Penberthy.

 

Erano gli anni ruggenti di Basket City. E tu ne eri uno sfavillante simbolo. Ma è vero che in quel periodo ti eri comprato una macchina a Venezia per avere la targa VE?

Tipica strunzata. Avevo conosciuto un ragazzo di Toyota Italia che lavorava nella sede nazionale a Mestre. Cercavo un Rav4, mi disse di andare a Mestre che in sede aveva un modello “aziendale Km 0”. Andai e mi portai a casa l’auto. Io la targa, figurati, manco l’avevo vista. Poi sentii dire ‘sta roba e non ci volevo credere. Ma del resto a Bologna, in quegli anni, una birra a mezzanotte faceva molto presto a diventare una bottiglia di tequila alle 4 del mattino…

 

 

 

Dopo Bologna arriviamo all’Nba. E ai Raptors. Ben prima di Bargnani! Oh: i maligni dicevano che Enzino a Toronto era uno spot pubbicitario per i 5.000 signori Esposito italo-canadesi residenti in città…

 

Altra strunzata. Io ero già più che d’accordo con Cleveland. Toronto non c’entrava una mazza. Arrivò la serrata della Nba. Una cosa seria, che durò oltre 2 mesi. Io avevo 30 giorni per dare una risposta alla Fortitudo. La carta-Nba volevo giocarmela, ma vedevo che non si muoveva nulla e non sapevo onestamente come si sarebbe sbrogliata la cosa. Toronto e Vancouver erano le uniche 2 squadre che potevano depositare contratti, essendo appena nate. Firmai per i Raptors. Poi finalmente si cominciò. Ed era la Nba “vera”…

 

Perché, l’Nba di oggi cos’è?

 

Onestamente l’Nba di oggi mi sembra più una roba da Playstation. In quegli anni 40 punti li faceva Micheal Jordan. Punto. Oggi 40 punti ci sono almeno una ventina di giocatori che li fanno periodicamente. Io conosco benissimo e sono amico di Manu Ginobili. Giocatore stupendo, per carità, ma posso assicurarti che 15 anni fa dei 40 non li avrebbe mai fatti! E posso pure dirti che se Belinelli trova la continuità per giocare dei 20/25 minuti, finisce per fare spesso dei ventelli. Questo cosa vuol dire?

 

La famosa serata del Madison Square Garden e dei 18 punti: ricordi?

 

Era un po’ di tempo che giocavo con un minimo di continuità. Feci un quarto intero ed entrai in ritmo. Al Madison c’erano parecchi italo-americani… un po’ alla volta vennero tutti fuori. Cosa vuoi che ti dica: fare un figurone in quell’impianto non capita tutti i giorni…

 

Tutto un altro mondo rispetto all’Europa?

 

Assolutamente sì. Passi la maggior parte della tua vita su pullman gran turismo e aerei in prima classe. Tutto lussuoso e meravigliosamente organizzato, sia chiaro, ma è un’esistenza da ‘zingari ben retribuiti’. Molto lontano dal mio stile di vita. Io, pensa te, sono per le cittadine di provincia e la vita tranquilla in famiglia. Lì se hai una famiglia rischi seriamente di perderla, stai fuori di casa 15 giorni alla volta. E poi mancava completamente il rapporto umano all’interno della squadra e pure fuori.

 

In che senso?

 

Io venivo da Caserta e dalla Fortitudo. Per me il rapporto con la piazza, i tifosi, l’ambiente, non erano dettagli. Mi ritrovavo in un mondo sprovvisto di tutto questo. Nella squadra? In albergo ognuno aveva la sua stanza. A Toronto io non avevo la più pallida idea di dove vivessero e cosa facessero i miei compagni al di fuori degli allenamenti e delle partite. Giocavo in una squadra tutta di neri a parte me e Zan Tabak. Nello spogliatoio e in trasferta si parlava solo di soldi, puttane e rap. Pesante, alla lunga. Vedevo gente che fino a 12 mesi prima viveva con 10 fratelli in una baracca nel ghetto, ritrovarsi improvvisamente con 4 milioni di dollari in saccoccia. E non essere culturalmente pronta a gestire questa cosa. E così la vita di molti miei compagni era ostentazione, arroganza, mancanza di rispetto e di educazione. Andavano in un ristorante di lusso? Ordinavano patatine fritte e marmellata. Ignoranza, in una parola.

 

 

Quali furono le principali difficoltà per te, italiano, nell’Nba? Razzismo?

 

No, razzismo no. Ero integrato con la squadra. Chiaro che se si scherzava l’ironia era di basso livello: Il Padrino, pizza, mandolino, le solite idiozie. Ripeto: ignoranza. Storia, tradizione, amicizia: sono cose più nostre che loro.

 

Per questo tornasti in Italia?

 

Avevo un triennale. Ma esaurita l’esperienza del primo anno diciamo che ero a posto così.

 

E arrivasti a Pesaro.

 

Un’annata davvero storta (finita con la retrocessione: ma la Scavolini, quella volta, fu ripescata, nota di FB). I problemi erano due: l’allenatore e la pressione. L’allenatore, Dusko Vujosevic, arrivò a Pesaro convinto di poter imporre tutto a tutti. Forse voleva fare di Esposito un Carraretto, ma non era possibile. Poi c’era una maniacalità della piazza davvero eccessiva. Perfino invadente. Se l’anno prima eri arrivato 2°, arrivare 3° pareva un fallimento. Andavo a pranzo al ristorante con mia moglie, arrivavano i tifosi e si sedevano al tavolo: “Cos’ha fatto l’americano?”, “Allora mi raccomando domenica vincete”, “Farete la zona o la uomo?”. Io peraltro per mandarli affanculo non è che usassi la raccomandata con ricevuta di ritorno…

 

1997/98: Pistoia

 

Anno meraviglioso, anche se si respirava una vaga aria di smobilitazione. Presero in corsa me, coach Friso al posto di Rusconi e un americano: arrivammo ai playoff. L’estate dopo sapere che era stato venduto il diritto sportivo fu molto spiacevole.

 

Finalmente a Imola, la tua passione…

 

Indubbiamente gli anni migliori della mia vita sportiva. Che, non a caso, hanno condizionato le mie scelte di vita. C’era una spina dorsale fatta dai vari Fazzi, Bortolon, Foiera, Pietrini in cui mi integrai a meraviglia. 3 anni di A1, 3 anni in Europa, 3 anni da capocannoniere o giù di lì. Oltre alla prima, sarei tornato altre 2 volte all’Andrea Costa. Una realtà cui mi sento legatissimo. Anche perché la dirigenza è rimasta grossomodo la stessa. La competenza, insomma, c’era e c’è: ma è chiaro che se ogni anno devi barcamenarti coi soldi diventa durissima. E certamente la politica a Imola non dà una mano…

 

Ti metti anche a fare il politico?

 

No, figurati, di politica non capisco nulla. Mio padre è il politico di famiglia. E’ un militante della Margherita, credo. Credo, perché non ne sono sicuro. Come si chiamano già adesso? Comunque ti dico solo che anni fa mio padre mi munì di tutto il necessario per dare a la preferenza a lui alle elezioni… e io riuscii nell’impresa di sbagliare: sì, votai un altro. Mi ricordo che si incazzò e aveva pure ragione. Come vedi di politica sono zero. Però so che se un’amministrazione che da anni ha il basket in Serie A in città, anziché fare un impianto adeguato butta un milione di euro in una tribuna per lo stadio dove il calcio fa l’Eccellenza, c’è qualcosa che non va…

 

Dopo Imola, Udine: è il 2001.

 

Non ci siamo. Gente moscia, grigia. Mi ero abituato alla Romagna. Impatto durissimo. A metà anno vado in Spagna.

 

A Gran Canaria…

 

Super esperienza. Folla meravigliosa. Ambiente eccitante. 6 mesi da cannoniere nella ACB. Non resto solo perché non troviamo l’accordo sul rinnovo a livello di soldi…

 

Scafati, qui andiamo sul peso…

 

Eh già. Scelta sbagliata. Sia per me che per Marcelletti. Un posto in cui se sei abituato a certi standard è meglio se non vai. Sono arrivati in A, nel frattempo, ma vedo che il lupo ha perso il pelo ma non il vizio. L’unica società che conosco che riesce a cambiare più general manager che allenatori e che prende solo stranieri col visto delle altre squadre. Lasciamo perdere…

 

Nel 2004 sei a Roma. L’Esposito amante del ‘piccolo’ come si trova nella Metropoli?

 

Niente da dire sulla città, stupenda. Ma se quest’intervista l’avessimo dovuta fare a Roma ci avremmo messo una settimana per organizzarci. In campo non capii mai Bucchi cosa volesse da me. Una stagione che resta enigmatica. Di cui salvo l’amicizia con Myers, che ho imparato a stimare come atleta e come persona.

 

2005 a Capo d’Orlando.

 

La scelta giusta nel momento sbagliato. Ero ormai troppo legato alla mia nuova terra, l’ambiente non è affatto male ma là sei troppo isolato per i miei gusti. Casale Monferrato? Idem.

 

2006/07, siamo quasi all’oggi: Gragnano in B1.

 

Esperienza drammatica. Anche peggio di Scafati. Alloggiato come nemmeno in Iraq. Grandi promesse economiche, il doppio o il triplo di ciò cui ero abituato, ma serietà nei pagamenti… meno di zero. Dopo Gragnano ho giurato che continuerò a giocare, se lo farò, solo in zona-Romagna. A costo di giocare per il rimborso spese.

 

[Comunicato dell'ASD Gragnano Basket]

 

[Rettifica di Vincenzo Esposito]

 

 

Fine della carrellata. Torniamo ai tuoi ‘anni d’oro’. E apriamo un capitolo che per te, come per altri campioni ‘maledetti’ – pensiamo a Mario Boni -, è quasi sempre ‘scomodo’: la Nazionale.

 

E’ stata un’incompiuta, lo ammetto. Del resto per me giocare minutaggi importanti è sempre stata una prerogativa. Non sono mai stato un giocatore da spizzichi e bocconi. La Nazionale è invece tipicamente il contesto in cui meno si punta sui leader e più si frammentano gli spazi. Certo, mi resta l’orgoglio di aver partecipato ad un impressionante Europeo, mi sembra in Grecia, in cui per la prima volta c’erano le Nazionali dell’est europeo separate: c’erano dei campioni da far tremare i polsi solo a pensarci.

 

Abbiamo citato Mario Boni. Un altro finito in questo Girone A della B1.

 

Uomo vero. Giocatore vero. Realizzatore vero. Tre cose che raramente marciano insieme, a prescindere dall’età.

 

Prima ci hai parlato della Nba e di come, a tuo giudizio, essa è peggiorata negli anni. Certo però che anche la pallacanestro italiana…

 

Sono perfettamente d’accordo. Ti dirò di più. Quando con Procaccini, Fumagalli o magari Myers si chiacchiera un po’ del passato, si giunge sempre alla stessa conclusione. La “vera pallacanestro” abbiamo la sensazione sia finita qualche anno fa. Oggi è un’altra cosa. Il basket di oggi è al 50% basato su giocatori-bluff pompati dai procuratori.  20 anni fa facevi la squadra a settembre. Se avevi sbagliato qualcosa e c’era un problema, ci si metteva a lavorare per risolverlo, quel problema. Le piazze vedevano continuità e si affezionavano per davvero ai giocatori e ai loro club. Oggi se vedi che non vai bene fai uno, massimo due tentativi. Se non funziona, cambi. Come un bambino che si stufa del giocattolo e ne vuole un altro. E le squadre mutano i connotati da un mese all’altro. Insomma, l’aspetto tecnico è sempre più secondario. Una volta di lì si partiva. Ora si comincia a parlare di squadra dopo che hai sistemato budget, marketing e qualche altra diavoleria. Secondo me se oggi i McAdoo, gli Oscar, gli Shackleford non arrivano più, è troppo facile dire che è solo una questione di soldi. E’ anche una questione di soldi. Ma soprattutto di credibilità di un movimento.

 


 

[Ha collaborato Riccardo Romualdi]

Riccardo Girardi
Contributo originale a cura di forlibasket.it.
Se ne autorizza il "copia & incolla" (totale
o parziale) previa citazione della fonte.



A cura di
Riccardo Girardi
riccardogirardi@forlibasket.it



Articolo pubblicato
Mercoledì 27 febbraio 2008 23:18

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